Cultura e Società Autoctone

Il Palermitano

Al Volante

pubblicato su LiberaLaMentepress
Numero DUE - Maggio 2017


 a cura di    Anna M. Ferrara



Iniziamo questa avventura tra le strade di Palermo dicendo che il “panormosauro” al volante fa tutto, tranne che guidare, nel senso stretto del termine.
E aggiungiamo pure che, aver conseguito la patente, qui a Palermo, non equivale a saper condurre un autoveicolo o motoveicolo rispettando il codice della strada.
Segnaletica stradale e semafori sono solo arredo urbano. Le automobili sono sempre più grandi, enormi: S.U.V. (Sport Utility Vehicle).
Si, veri e propri “camion” che impazzano per le strade cittadine. Veicoli super accessoriati a cui, però, mancano gli indicatori di direzione.” Le frecce? Gli indiani”.
Così si risponde dalle nostre parti.
Codice della strada? Ma cos’è?
Ma quando lo hanno pubblicato? Chi lo ha inventato?
Diciamo pure che questo testo, in continua evoluzione per mano delle istituzioni, è stato reinterpretato dal “panormosauro” secondo i suoi personali bisogni.
Cominciamo la nostra passeggiata.
Chi l’ha detto che per uscire dal posteggio devo mettere l’indicatore di direzione, guardare se sta arrivando qualcuno e poi lentamente muovermi?
Ma scherziamo?
Io esco dal posteggio come e quando voglio e guai a chi vuole passare e suona il clacson!
Uffa, ho dimenticato di chiamare Tizio”.
Con una mano tengo il volante, con l’altra acchiappo il cellulare e guardo le ultime chiamate effettuate.
Ma no, forse è meglio che gli mandi un messaggio. Improvvisamente, qualcuno mi distrae da questa mia attività con improperi e a suon di clacson e luci abbaglianti.
Cosa vogliono da me? Sono impazziti? Sto scrivendo il mio messaggio e sto guidando, non disturbatemi”.
Mi guardo i capelli allo specchietto retrovisore.
Si, forse dovrei andare dal parrucchiere per farmi dare una sistemata. “Oooooh ma che fa questo pazzo? Vuole attraversare sulle strisce pedonali proprio mentre passo io? Ma scherziamo?!”
Guarda guarda, lì a sinistra c’è il panificio.
Forse è il caso di fare inversione e andare a comprare qualcosa di buono. Ma no, un altro pazzo che mi insulta perché gli ho tagliato la strada.
” Ma quando? Piuttosto perché non guardi prima di passare? Non vedi che sto facendo inversione?”
Proprio strani questi palermitani.
Dentro il panificio c’è un po’ di gente, pazienza farò la fila. Intanto fuori qualcuno che strombazza. Che incivili.
Dopo un po’ entra un signore in…alberato; cerca la persona che con la sua auto in seconda fila gli impedisce di uscire dal posteggio.
Boh… continuo a guardare le prelibatezze.
Ah ecco, finalmente il mio turno. Quello, intanto, continua a strombazzare e sbraitare. Pago, esco: “Ma si calmi, perché urla così? Ha tutta questa urgenza? Non può aspettare cinque minuti?” 

Non voglio aggiungere altro, questo pazzo ha proprio esagerato.
Entro in auto, lo mando a quel paese e sgommo via.
Palermo e il suo solito traffico.
Adesso prendo la corsia preferenziale e supero tutti questi poveri imbecilli che stanno in fila ad aspettare di avanzare e giungere al semaforo.
 Si è fatto troppo tardi, devo essere da Caio per le 5 (p.m.) e sono ancora qui.
Sai che ti dico? Visto che non passa nessuno, passo io.
“Ma è rosso!”
 “E chi se ne frega!”  ■ 
(Continua ? )



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IPalermitano

Al Volante

(seconda parte)

pubblicato su LiberaLaMentepress
Numero TRE - Giugno 2017


a cura di    Anna M. Ferrara 





Ma chi se ne frega”.
Questo avevo pensato nell’attimo esatto in cui, pigiando l’acceleratore, oltrepassavo a tutta velocità quell’incrocio, poi … il buio.
Non ricordo esattamente cosa successe.
Sentivo voci intorno a me; ombre che si muovevano concitatamente; sirene; rumori metallici assordanti; e poi, io che venivo preso, bloccato e non so che altro.
Buio.
Non so dire quanto tempo passò, ma mi risvegliai su un letto di ospedale, fasciato, aghi, cateteri, gesso.
Questo ciò che sentivo, ma continuavo a non vedere e a non ricordare, tranne quel “Ma chi se ne frega”.
Rimbombava nella mia mente continuamente e faceva, quasi, più dolore del mio corpo ferito e dilaniato.
Ma cos’era successo?
Solo più tardi avrei saputo che quel dolore fisico era nulla, se paragonato al dolore che, da quel giorno, mi lacera l’anima e mi impedisce di vivere.
Nell’attraversare, da spaccone e da incosciente, l’incrocio, mi ero scontrato con un’altra autovettura che, come me, ma col verde, stava superando l’incrocio.
Alla guida dell’auto un uomo che, dopo una giornata di lavoro, aveva solo il desiderio di rincasare per abbracciare moglie e figli. Ebbene, io, quell’uomo l’avevo investito e con lui, avevo investito il suo desiderio, avevo distrutto la sua vita.
L’avevo ucciso.
Solo molto tempo dopo cominciai a ricordare qualcosa e mi giunsero notizie di ciò che era successo.
Da allora la mia vita cambiò.
Ospedali e tribunali divennero gli unici luoghi che frequentavo; i miei interlocutori solo medici ed avvocati.
Sono passati anni da quel tragico pomeriggio.
In carcere non sono andato, ho avuto un bravo avvocato e la legge italiana dalla mia parte, ma nonostante ciò, a volte, mi fermo a pensare e a desiderare con tutto me stesso di poter tornare indietro e fermarmi a quel semaforo.
Lasciare che quell’uomo raggiunga la sua famiglia, come ogni sera. Non pronunciare quelle parole:
E’ rosso! Ma chi se ne frega!”,
ma piuttosto dire: ” Sono in ritardo per l’appuntamento!
Ma chi se ne frega!” .






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